Arancino o arancina? Un po’ il dialetto, un po’ le forzature di un campanilismo che si lega ai racconti ma anche il compianto Camilleri ed il suo fido Montalbano hanno prestato il proprio contribuito nel generare confusione su quale sia il giusto nome di questo cibo da strada succulento.
L’arancina, quella palermitana e della Sicilia occidentale per intenderci, è tonda ed è ripiena di ragù e piselli. Una piccola variante è quella di forma ovale, ripiena di burro e prosciutto.
A Catania, e più in generale nella parte orientale dell’isola, cambia il nome ma anche la forma. Ecco che diventa “a cono”, con una chiara rievocazione all’Etna e senza compromessi al riguardo. Persino l’Accademia della Crusca è dovuta intervenire per cercare di chiarirne la giusta declinazione. Dopo un’attenta analisi ha commentato: “Si potrebbe allora concludere che chi dice arancino italianizza il modello morfologico dialettale, mentre chi dice arancina non fa altro che riproporre il modello dell’italiano standard”.
Da cosa deriva il nome
Il suo nome deriva dalla forma sferica che la faceva assomigliare al frutto dell’albero di arancio. Un paragone semplice vista la ricchezza nell’isola delle arance, che facilmente, e su questo non ci sono diatribe campanilistiche, in dialetto diventa aranciu per ‘arancia” dove allo stesso tempo il suo diminutivo dialettale diventava e diventa “arancinu”, inteso come “piccola arancia”.
Sulla storia invece è chiaro che fu importata a Palermo dagli arabi al tempo della loro dominazione nell’isola 1000 anni fa. Ma la panatura croccante che l’avvolge e che le permette di essere adeguatamente fritta è da far risalire alla corte di Federico II. Successivamente trovò spazio anche nel resto della Sicilia. Tra le giornate ricorrenti il 13 dicembre di ogni anno. Una tradizione palermitana per festeggiare il giorno di Santa Lucia, che rinunciò a tutti i suoi beni donandoli ai poveri. In questo giorno è proibito mangiare pane e pasta ma è tradizione mangiare legumi e arancine, oltre che alla famosa “cuccia”.
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